Nel recente volume di Antonio Del Vecchio, dal titolo Ritratto del giovane Ottavio, vengono citate alcune canzoni, in diversi passaggi del libro, che sembrano elevarsi a colonna sonora dei racconti amorosi dell’Autore.
Si tratta di una serie di tracce musicale che attraversano l’intero, lungo percorso narrativo iniziando dai cinquanta – anzi qualcuna anche prima – , per inoltrarsi nei sessanta e invadere anche i decenni successivi, puntellando così di ricordi sonori l’intero tragitto. Insomma un filo d’Arianna che ci accompagna, per mezzo delle canzoni, nella lettura del testo, in un arco temporale peraltro molto vasto ed impegnativo.
Un canzoniere che ci colpisce (e persino ci emoziona) per tutto l’immaginario dei ricordi che evoca, non soltanto all’Autore, che queste vicissitudini le ha descritte, – e quindi le ha vissute sulla propria pelle – ma direi a quanti leggeranno questi racconti.
Certo Tonino, essendo più anziano di noi certamente più saggio, può citare Lazzarella la canzone di Aurelio Fierro, famosissima nei cinquanta, per quel legame sottile che lo riporta alla sua giovinezza, trasmettendogli qualche scossa. Il mio ricordo invece è molto più modesto ed è legato alla figura di mia madre che la canticchiava durante le belle giornate.
Da bambino ricordo pure, come Tonino da grande, La casetta in Canadà, un altro motivo proveniente dalle profondità del passato, reso celebre dalla voce di Gino Latilla, che va nella stessa direzione. Il Canadà che noi immaginavamo era un luogo alieno, lontanissimo ma a Tonino sicuramente le sarà sembrato meno distante.
La vie en rose e Only You hanno avuto invece una eco internazionale, che evidentemente ha colpito Tonino Del Vecchio (e credo tutta la sua generazione) per la palpitante nostalgia del passato che queste canzoni producono all’ascolto. Entrambi sono motivi, per provenienza, carattere e stile, diversi tra loro, che hanno conservato intatto quel fascino senza tempo che li unisce rendendole immortali. Lo diventarono grazie alle splendide, melodiose interpretazioni che ne offrirono sia Edith Piaf per quando riguarda “La vie en rose” (che fu canzone del dopoguerra francese) che i Platters, che fu invece un combo americano di doo-wop dei cinquanta, riguardo “Only You”.
Tonino cita, con garbo e riconoscenza, altri motivi importanti questa volta spingendosi sin dentro il cuore dei sessanta, nel magma del decennio più bello e seducente del secolo scorso. I sessanta lo furono per una somma di motivi che Tonino conosce bene che spaziano in diversi campi, coinvolgendo molti argomenti. Se i ’60 sono stati giudicati “Favolosi” a priori molto lo si deve, tra le tante ragioni, anche a quella cascata di canzoni leggere che hanno accompagnato, facendo da sfondo al benessere sociale, lo sviluppo e la crescita socio-economica della nazione.
Da Una lacrima sul viso a Fatti mandare dalla mamma passando per Ho rimasto solo (l’ errore è voluto per alimentare più interesse intorno alla canzone), rispettivamente interpretate con successo da Bobby Solo, Gianni Morandi e Don Backy, Tonino vuole così introdurci in un territorio in cui prevalgono sentimenti d’amicizia, fermenti creativi e gli innamoramenti (i “famosi” turbamenti amorosi cari all’Autore), che Tonino pone sempre in risalto. Ma i sixties saranno stati per lui anche momenti di riflessione, attimi in cui vengono assunte decisioni personali, dove l’idea di futuro prende il sopravvento.
Un periodo dalle tante risorse, forse irripetibili, che precede purtroppo, con l’avvento dei settanta, un decennio difficile, pieno di incognite e contraddizioni, ma attraversato tuttavia ancora da tante belle canzoni che fanno da contraltare ai primi segni di cedimento della società di fronte alle contestazioni giovanili. Fatti che Tonino ben conosce per aver vissuto pienamente quegli anni travagliati, con tutte le conseguenze che ne seguiranno.
Però le canzoni di Lucio Battisti (Pensieri e parole e I giardini di marzo) ce le ricordiamo bene tutti poiché hanno ispirato una generazione intera, conquistandoci con melodie accattivanti, che ancora oggi evocano ricordi da brividi. Una lunga colonna sonora esistenziale insomma che, come in un film, fa da cornice ai racconti autobiografici di Antonio Del Vecchio, giornalista-cronista, amico fraterno e, dulcis in fundo, anche consuocero, che possiede il grande dono (invidiabile) della bella scrittura, a cui faccio i migliori auguri per la vita.
Luigi Ciavarella